Report del Prof. Kofi Kumada, antropologo, Ghana Institute of Management and Public Administration, letto in occasione dell’iniziativa a celebrazione dei 150 anni dello stato italiano all’Istituto Italiano di Cultura di Accra, il 17 marzo 2011
Frutto di un’affascinante ed aggrovigliata vicenda storico-letteraria-culturale del tutto italiana, il termine gattopardismo, entrato nel lessico del paese sul finire degli anni 50 del Novecento, esprime in un contesto aulico/letterario un’idea appartenente a quello che si potrebbe definire un arcipelago concettuale denominato Familismo amorale, scoperto in un remoto villaggio della Basilicata solo qualche anno prima da un giovane ed ambizioso sociologo americano, Edward Banfield, autore del classico volume di antropologia culturale The Moral Basis of a Backward Society. A prima vista nulla potrebbe apparire più incongruo di questa genealogia, ma bisogna considerare che gli umili membri della tribù lucana nascondevano un segreto: erano a loro volta discendenti della famiglia dei Principi di Lampedusa, nobili dalle lontane origini in tribù germaniche insediatesi in questa sfortunata isola al largo della Sicilia che oggi ospita campi di concentramento per migranti, tramite un ramo spurio (una serva messa incinta non si sa se dal padrone o dal figlio del padrone e quindi mandata a sgravarsi in un luogo lontano). A differenza dei loro villici, disconosciuti discendenti naturali, i Salina, conosciuti non con la ngiuria ma con l’affettuoso appellativo “i Gattopardi” per l’immagine contenuta nello stemma, si muovevano in contesti sontuosi che sembrerebbero renderli distanti dalle necessità di sopravvivenza dei residenti dell’umile borgo di Montegrano (pseudonimo per Chiaromonte), esseri incapaci di esprimere i valori della società civile.